Che cos'è La Goccia e perché merita la nostra attenzione

  • Ivan Carozzi
  • 10 giugno 2025

©Marco Merati

“Nulla di ciò che sembra finire si conclude veramente: la natura rinnova un essere con un altro e per far nascere una cosa si fa aiutare dalla morte di un'altra cosa”

(Lucrezio, De Rerum Natura, Libro I, nella traduzione di Milo De Angelis)

Le lotte che hanno portato alla salvaguardia della Goccia sono un esempio per tutti i cittadini di Milano. È il momento di divulgare la memoria di questo luogo. Conoscerne la storia può essere fonte d'ispirazione per chi non intende svendere il pezzo di mondo nel quale è nato o nel quale si è trasferito, arrivando da un'altra regione o da un altro continente. La Goccia è un modello per chi non vuole arrendersi a ciò che è accaduto a Milano in questi anni, con l'aumento delle disuguaglianze e istituzioni impotenti di fronte agli squilibri del mercato immobiliare che hanno trasformato la città in un parco giochi per ricchi e sbadati city users. La Goccia insegna che si può provare a opporre resistenza. Questa è la sua storia.

La Goccia

Che cos'è La Goccia? È un'area verde a nord-ovest di Milano, di vaste dimensioni, disseminata di tigli, pioppi, robinie, paulonie, platani, bagolari, ciliegi, noci, pruni ecc., dove regna un grande silenzio, interrotto ogni tanto dal rumore del transito di un convoglio Trenord diretto a Saronno, a Erba o alla stazione Cadorna. Sono circa 20 ettari di vegetazione, quiete e raccoglimento. La definizione di foresta post-industriale descrive piuttosto correttamente La Goccia, anche se può diventare una di quelle ampollose etichette utili ad alimentare un nocivo passaparola.

La Goccia è grande quasi quanto Parco Sempione e dista circa sei chilometri e mezzo dal Duomo di Milano. È in parte proprietà del Comune e in parte del Politecnico. Non sono molti quelli che fino a oggi hanno avuto il privilegio di esplorarla, passando per un buco in una rete o grazie a una visita informale. Confina con i quartieri Bovisa, Quarto Oggiaro e Villapizzone, oltre che con gli edifici del Politecnico, ed è delimitata da un anello di binari ferroviari. Dista pochi minuti a piedi dalla stazione dei treni e si trova al di là di una grande, fragile e rugginosa scultura in ferro. È la struttura ormai inerte del vecchio gasometro, che abita lo spazio della Goccia dall'inizio del '900. Nel momento in cui questo testo viene scritto, è assente l'altro vecchio gasometro, smontato e in attesa di essere rimontato, come nel gioco del Meccano.

©Terrapreta

L'area si chiama così, La Goccia, perchè vista dall'alto, ricorda la sagoma di una goccia. Dentro si trovano qua e là ruderi cosparsi di macchie verdi e vecchi edifici con i vetri rotti, circondati da traversine parzialmente coperte dalla vegetazione, cordoli e vasche di cemento. Sotto vasti soffitti offesi dal tempo, sopravvivono i resti d'imponenti macchinari, cisterne, tubazioni. Per quasi un secolo l'area della Goccia è stata un sito industriale. Fu prima sede della Union de Gas e poi delle Officine del Gas, l'azienda che attraverso la distillazione del carbon fossile ha provveduto al fabbisogno di gas per la città (prima per l'illuminazione pubblica, poi per gli usi domestici e industriali). Dopo diversi passaggi di gestione, nel 1994 sono cessate le ultime attività. Da quel giorno l'accesso al sito è rimasto interdetto da un muro di cinta sormontato da un filo spinato. Sull'asfalto che ricopriva buona parte della superficie si è formato un nuovo strato di terra, è spuntata l'erba e hanno messo radici piante particolarmente caparbie, come il bagolaro (celtis australis, anche detto “spaccasassi”).

La presenza nel suolo di sostanze come cianuro, arsenico, zinco, cadmio, piombo, ferro, manganese, nichel, oltre a polveri, idrocarburi, metalli pesanti e scarti derivati dalla lavorazione del carbone, è un elemento chiave nella rappresentazione del bosco della Goccia. In che misura è contaminato il suolo della Goccia? Dove? E a quali profondità? Intorno a questi interrogativi si è giocata una partita politica, con un gruppo di cittadini schierato da una parte e il Comune dall'altra. Chi è riuscito in un modo o nell'altro a intrufolarsi, racconta di aver vissuto un'esperienza molto singolare. Livido mistero, abbandono, rovine, desolazione, come in certe scene della serie Chernobyl. Pace, intimità, immersione, corroborante e religioso silenzio, come in certi paesaggi filmati nel cinema di Andrej Tarkovskij.

©Terrapreta

La storia della Goccia appartiene all'epoca in cui la Bovisa era stata ribattezzata “piccola Manchester” per la grande concentrazione di aziende chimiche e officine meccaniche. Di quel periodo restano vestigia e testimonianze tangibili, oltre a un pulviscolo di elementi impalpabili, spirituali, una vera e propria “aura di Bovisa”, come recita il titolo di un prezioso volume scritto da Giorgio Fiorese, docente e studioso di architettura. A conti fatti sono circa 130 anni che la zona della Goccia è sostanzialmente interdetta al pubblico e alla cittadinanza. Che cosa accade all'aura di un luogo, in queste particolari circostanze? Quali forme, visibili e invisibili, assume il suo genio?

Da trent'anni la presenza umana è quasi del tutto scomparsa, eccetto il caso di una coppia di raver e di alcuni rom, insediati abusivamente all'interno della Goccia. Per diverso tempo hanno vissuto in ripari di fortuna o all'interno di edifici industriali fatiscenti. Così racconta Gianluca Rapaccini di Terrapreta, che cura il coordinamento di una realtà, l'Osservatorio La Goccia, che da tempo lavora alla riapertura al pubblico di questo habitat post-industriale. Una riapertura molto lenta, paziente, graduale e parziale. Gianluca ha incontrato molte delle persone che vivevano dentro la Goccia, in un vero e proprio mondo parallelo, non per questo innocente o privo di violenza e sopraffazione. È entrato alla Goccia per la prima volta nel 2017. “Passammo attraverso un buco nella rete. Bastavano pochi passi per lasciarsi alle spalle i rumori della strada ed entrare in un'atmosfera diversa. Da quel momento ho cominciato a partecipare alle assemblee del comitato la Goccia e piano piano sono diventato uno dei referenti”.

Il Comitato

Il comitato La Goccia era attivo già da qualche anno. La storia è raccontata in un libro, Più grigio che verde. Dieci anni di lotta per il bosco La Goccia di Bovisa, scritto da due attiviste, Francesca Grazzini e Luciana Bordin, con la prefazione di Lucia Tozzi. Siamo nell'estate 2012. Il Comune di Milano presenta al Governo Monti un progetto per la costruzione di un nuovo quartiere nell'area della Goccia. La società immobiliare dietro al progetto è Euromilano e il masterplan è curato dallo studio di architettura di Rem Koolhaas. Il nuovo quartiere si estenderà lungo 730.000 metri quadri di superficie lorda. Al posto di quel vasto vuoto urbano, un tempo occupato dalle Officine del Gas, verranno edificati alberghi, residenze, uffici. Il comitato non ci sta. Contesta la definizione di vuoto urbano. Non c'è nessun vuoto urbano. Al contrario, esiste un pieno, una selva, un grembo arboreo ricchissimo che cela nell'ombra un patrimonio di archeologia industriale. Nel corso di quasi un secolo, le Officine del Gas (che poi verranno inglobate da AEM, l'Azienda Elettrica Municipale) hanno infatti provveduto alla semina di centinaia di alberi.

Nel racconto i membri del comitato non hanno un vero nome e cognome. Come in un ciclo epico figurano tramite epiteti: il Professore, il Poeta, il Mite, la Poetessa, la Giardiniera, il Giovane, la Ciclista, la Pasionaria etc. Sono preparati, hanno studiato, sono ossi duri, determinati. Non sono volatili e sbadati city users, ma cittadini organizzati e consapevoli. Il Professore sa il fatto suo. È un urbanista militante (è una figura molto nota in città, si chiama Giuseppe Boatti), si è formato nel partito comunista, è sempre al fianco dei cittadini e dei beni comuni, sempre pronto e sul pezzo quando c'è da intervenire in un dibattito. Sogna un Central Park milanese, un corridoio verde pubblico che colleghi l'area di Scalo Farini con quella della Goccia. Il suolo della Goccia, però, è contaminato, sostiene il Comune, e va dissodato, sbancato, asportato, insieme a tutto il verde e l'alberatura che lo ricopre. É inevitabile. Tanto vale ripartire da zero e costruirci sopra un nuovo quartiere. Quelli del comitato si oppongono, si appuntano sul petto delle spillette verdi in pannolenci a forma di goccia, contestano la letteratura prodotta sulla presenza d'inquinanti e propongono un metodo alternativo di bonifica: la “fitoremediation”. Consiste in una piantumazione mirata di alberi e piante, a seconda dell'inquinante da contrastare. Un metodo di bonifica molto lento. La lotta con il Comune prosegue a colpi di dossier, ricorsi, dibattiti pubblici. Chiedono che La Goccia venga inserita nel PGT (Piano di Governo del Territorio) come area verde protetta.

©Terrapreta

Oggi e domani

Dalle prime attività del comitato a oggi sono cambiate molte cose. Nel giugno 2021, il gruppo che fonderà Terrapreta e metterà insieme i partner di una nuova struttura, l'Osservatorio La Goccia, decide di fare una mappatura a campione degli alberi. Grazie a un software (si chiama iTree-Eco) viene compiuta un'analisi del bosco e del suo potenziale. Quanto carbonio è capace di stoccare? Quanta acqua può contenere? Quanti alberi ci sono? E a quali specie appartengono? Terrapreta presenta al Comune i dati raccolti e avvia un confronto con gli assessorati al verde, alla partecipazione e all'urbanistica. L'esito finale è la firma di un patto di collaborazione. CNR Iret, Italia Nostra, Progetto Natura Onlus e il Museo di Storia Naturale diventano partner dell'Osservatorio. In questo momento le strade di Terrapreta e del comitato si separano. Li divide soprattutto una differenza di vedute nell'approccio con il Comune.

Il quadro quindi è mutato. Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. A seconda dei punti di vista e delle diverse anime del comitato. Il progetto di cementificazione proposto anni fa da Euromilano, una vera e propria tabula rasa, è stato scongiurato grazie alle lotte e all'ostinazione di tutti gli attivisti, mentre ha preso forma un nuovo piano, quello del Politecnico e del Comune.

©C. Vincenzi

Qual è oggi la situazione? 67 alberi, compresa una quercia centenaria, sono stati abbattuti nel 2023. Un pezzo della Goccia -circa 10 ettari- appartiene al Politecnico e sarà interessato da un progetto di ampliamento del polo universitario, un altro pezzo appartiene al Comune e ospiterà le nuove scuole civiche. Un'altra parte ancora -18 ettari- sarà invece una grande area verde e non verrà edificata. Quest'ultima porzione è oggetto di un lavoro di studio e progettazione affidato a MM Spa che dal 2024 collabora con l'Osservatorio La Goccia, sotto il finanziamento “Sostegno agli obiettivi PNRR Grandi città “Foresta Urbana (DL 50/2022)” per la progettazione complessiva dei lotti di foresta spontanea di proprietà comunale. L'azione si svolge all’interno di un Masterplan per l'area di Bovisa-Goccia, affidato allo studio di Renzo Piano e condiviso da Comune e Politecnico.

Le istanze dei cittadini e le successive iniziative dell'Osservatorio hanno permesso l'attivazione di un procedimento sperimentale, con l'obiettivo di preservare la natura spontanea di un pezzo della Goccia.

“La prima azione prevede l'apertura di una serie di percorsi a piedi”, racconta Gianluca Rapaccini, “che permetteranno una fruizione limitata, con delle regole di accesso. L'accento andrà sull'attività di osservazione più che sull'interazione. Cercheremo di favorire un diverso rapporto con la natura. Non sarà un parco attrezzato. Solo un 20% del bosco sarà accessibile, mentre la restante parte verrà protetta da un sistema di cartelli e recinzioni leggere, oltre che dal folto della vegetazione. Lo scopo è impedire l'accesso nelle zone sottoposte a bonifica. Vogliamo dare attenzione tanto al valore ecologico della zona, quanto alla sua memoria industriale, di cui fanno parte anche i contaminanti e il loro graduale processo di smaltimento”.

I metodi di bonifica sono due: fitoremediation e bioremediation. La bioremediation si compie attraverso l'azione sul suolo di funghi, microorganismi ed ammendanti, cioè elementi naturali che migliorano e aiutano la fertilità del suolo. Fitoremediation e bioremediation hanno tempi molto dilatati. Si tratta di un metodo sperimentale di bonifica che l'Osservatorio ha proposto e il Comune ha accolto positivamente, condividendo lo spirito dell'iniziativa e comprendendone la novità dal punto di vista dell'approccio e della filosofia. “Per quanto riguarda gli immobili”, aggiunge Rapaccini, “uno degli edifici verrà completamente recuperato e destinato ad attività forestali e laboratoriali, mentre gli altri, per il momento, verranno semplicemente messi in sicurezza”.

Sculture e orchidee

Fra i primi attivisti del comitato c'è anche un'artista e scultrice, Edi Sanna. A partire dal 2013 Edi prende parte a decine d'iniziative, nelle biblioteche, per strada o nei mercati rionali. Insieme agli altri membri del comitato, mette impegno, fantasia ed energie a sostegno alla causa. Vengono organizzati anche spettacoli di burattini. Ma non è abbastanza. “Per la maggioranza della gente il bosco, trovandosi al di là di un muro, rimaneva una pura astrazione”, racconta. Nel 2019, insieme a Gianluca Rapaccini e agli altri uomini e donne del comitato, Edi lavora prima alla creazione dei sentieri e poi, per due anni, all'ideazione di un museo sui generis, allestito tra gli alberi e i cespugli della Goccia. Edi prende contatto con una trentina di artisti in tutto il mondo. Gli scrive e gli propone di donare oggetti e sculture che verranno posizionati qua e là lungo un percorso. Gli artisti capiscono lo spirito del progetto e si mettono a disposizione gratuitamente. Non era scontato. L'obbiettivo è umanizzare, in qualche modo, il bosco, rendendolo un luogo più ospitale, meno inquietante, stemperandone le parvenze più minacciose. Le sculture intensificano l'esperienza filosofica del bosco, dice Edi, e fanno eco a quell'invito alla riflessione, all'introspezione o al dialogo con gli altri, che il passaggio fra gli alberi suscita naturalmente. L'iniziativa del museo nel bosco ha un grande successo. In centinaia entrano per la prima volta dentro la Goccia. Anche durante la pandemia la Goccia diventa una valvola di sfogo e si popola di individui che trovano spazio per respirare e vagare liberamente.

©Comitato La Goccia

“Il comune di Milano ha dimostrato il proprio provincialismo. Non ha capito di avere un gioiello tra le mani, soprattutto ora, con tutto quello che sappiamo sul riscaldamento climatico. L'ossigeno della Goccia è un bene e una risorsa vitale, non per la Bovisa ma per tutta Milano, una città che ha un grave problema d'inquinamento atmosferico, con un impatto certificato sulla salute dei i cittadini”. Il giudizio di Edi sull'amministrazione e sul progetto di espansione del Politecnico è assolutamente negativo. È certo che se il Comune ha compreso il valore di almeno questo pezzo di suolo, risparmiandolo alle ruspe, è stato grazie alle lotte e agli studi intrapresi dal comitato.

Edi apprezza il lavoro di risanamento e difesa di una parte del bosco messo in atto da Terrapreta e dall'Osservatorio, ma resta molto scettica sul futuro dell'area. Che cosa ne sarà, una volta conclusa la bonifica? Chi prenderà il controllo del bosco? Quale sarà il suo destino? Sono tutte domande alle quali dovrà rispondere il bando EUI (European Urban Initiative), attraverso un gruppo di lavoro dedicato alla futura governance del bosco.

Edi è entrata per la prima volta nel bosco con Gianluca. Di quelle prime esplorazioni conserva ricordi indelebili: “C'erano sentieri magici, fatti di biancospino. I gelsi, che poi erano ancora i gelsi delle vecchie coltivazioni per la produzione della seta. Una volta in estate, di notte, siamo andati a vedere le lucciole. Migliaia di lucciole. Energia pura. Un'altra volta abbiamo scoperto una radura con al centro un noce. Ci è sembrato strano, poi studiando abbiamo scoperto che le radici del noce diffondono delle tossine che impediscono alle altre piante di crescere. Un giorno siamo tornati insieme a un botanico, Gabriele Galasso. Galasso ci ha fatto notare la presenza di alcune orchidee, le definirei primitive, ancestrali, che appartengono a un'epoca precedente all'industrializzazione. Alla Goccia ho scoperto un silenzio simile a quello delle chiese. Ho capito di trovarmi dentro qualcosa di vivo, un grande organismo”.

Il bosco è un simbolo

Ma come mai un certo numero di persone si è appassionato alla vicenda di questo bosco -o foresta post-industriale che sia- e alla sua sopravvivenza? Perchè gli ha attribuito tutta questa importanza, tanto da sacrificare una parte della propria esistenza? Certo, hanno avuto un peso la coscienza civile, la coscienza ambientale, le singole biografie (la militanza nel PCI di Boatti), ma forse qualcos'altro ha contato ed è il simbolo, l'archetipo, la vibrazione che procura a un essere umano la parola “bosco” o “foresta”, l'immagine del bosco, quella che ci portiamo dentro, trasmessa nei racconti, nelle favole (o nei cartoni animati, che a loro volta si sono ispirati a qualche favola). Il bosco di Cappuccetto rosso e Hansel e Gretel, la selva dantesca, quindi il bosco come mistero, come soglia, come rischio. Il luogo in cui l’eroe o l'eroina si smarriscono. Nel quale si compie una prova o una trasformazione. La presenza dei veleni nel suolo, l'infezione, aggiunge un ingrediente magico, facendo della Goccia una variante più complessa e contemporanea del vecchio bosco delle favole. Il bosco in un certo senso è l'antitesi, il controcanto, la nemesi di un luogo come Milano, città pratica, concreta, spesso cinica, svelta, senza mistero. Entrare nel bosco ha significato, per tanti, ritrovare i polmoni, i piedi, sospendere il tempo e ricongiungersi per qualche ora con una parte di sé.

Ivan Carozzi. Scrittore, giornalista culturale, autore di programmi tv e audiodocumentari.

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