Il recupero di un'area e la sua trasformazione in un luogo ricco di vita per gli esseri umani, per la flora e la fauna, non è solo un'iniziativa di mera politica ambientale, ma un fatto più profondo, che invita alla scoperta di nuove forme di piacere, legate alla coesistenza e alla relazione. Lo afferma con gioia Stacy Alaimo, alla fine di questa intervista, dove Alaimo espone nuove idee e concetti che riguardano da vicino spazi post-industriali come quello della Goccia.
Stacy Alaimo è una studiosa statunitense di grande rilievo, attiva insieme a figure come Donna Haraway, Keren Barad, Anna Tsing e Jane Bennett – tra le altre - in un ambito di studi che intreccia gli studi culturali, ambientali ed ecologici con quelli femministi, decoloniali e indigeni. Questo ambito è conosciuto come neo-materialismo o neo-materialismo femminista. I suoi lavori fondono giustizia ambientale e sociale, collocandosi in uno spazio interdisciplinare dove letteratura, arte, filosofia e politica si incontrano con gli studi di genere e quelli sulla scienza.
Professoressa di Inglese e membro del dipartimento di Environmental Studies presso l'Università dell'Oregon, Alaimo è autrice di numerosi articoli e saggi. Il suo libro più noto, Exposed: Environmental Politics and Pleasures in Posthuman Times è stato recentemente tradotto in italiano con il titolo Allo scoperto. Politiche e piaceri ambientali in tempi postumani, pubblicato da Mimesis nella collana Postuman3, tradotto da Laura Fontanella, e curato da Angela Balzano. Nel suo lavoro più recente, The Abyss Stares Back approfondisce il significato etico ed estetico dell’incontro con le creature delle profondità marine e il nostro rapporto con il non umano.
La trans-corporeità, è un concetto da lei elaborato che descrive i corpi come permeabili e interconnessi con l’ambiente: sostanze, affetti e agenti materiali attraversano i confini corporei, dissolvendo l’illusione - quando si parla di esseri viventi, ambienti e sistemi - dell’autonomia e dell’indipendenza. Questo pensiero richiama e si intreccia con la simpoiesi di Donna Haraway, che suggerisce un’idea di un con-divenire continuo tra esseri viventi, ambienti e tecnologie. Entrambe le prospettive spostano l’attenzione dal soggetto isolato alle relazioni che lo costituiscono. Convergono dunque in una visione radicalmente relazionale dell’esistenza, che problematizza l’idea di soggetti indipendenti e confini netti tra organismi, luoghi e ambiente.

Queste teorie implicano una profonda revisione dell’etica e dell’epistemologia: conoscenza non è dominio, ma ascolto, cura, attenzione partecipante; agire non è controllare, ma rispondere responsabilmente alle interdipendenze. La trans-corporeità è, in un certo senso, la condizione incarnata della simpoiesi: i corpi vivono e si trasformano attraverso relazioni ecologiche, affettive e materiali. Insieme, questi concetti invitano a spostare lo sguardo dal soggetto isolato alle connessioni che lo costituiscono, promuovendo una politica della vulnerabilità condivisa e della coesistenza, ossia di una vulnerabilità sovversiva, come di Alaimo.
In un’epoca segnata da crisi ecologiche e sociali, studiose come Alaimo ci offrono gli strumenti per pensare e agire oltre l’antropocentrismo, ci aiutano a mutare prospettiva e a sviluppare una coscienza dell’interconnessione profonda tra corpi umani e non-umani, nella comprensione che le soggettività emergono da flussi materiali e affettivi.
In questa sede il pensiero di Stacy Alaimo sul materialismo trans-corporeo ci aiuta a elaborare une riflessione critica su luoghi come il Parco La goccia, sul loro essere ex aree industriali, sul rapporto tra piante e agenti inquinanti, in una prospettiva ambientale che non rimuove il passato, ma lo trasforma. La vulnerabilità dei terreni da bonificare è una condizione tanto fisica quanto simbolica. Questi luoghi sono segnati dalle cicatrici di un passato che è il nostro, che è quello della città. Sono spazi feriti, ma anche potenzialmente fertili: la loro fragilità li rende aperti alla trasformazione. Accettare questa vulnerabilità e coesistere con essa significa sperimentare una possibile convivenza postumana, dove il piacere e la cura multispecie si intrecciano con la memoria del progresso industriale e la responsabilità nei confronti di questi corpi viventi.
Il tuo libro, Allo scoperto, si apre con un riferimento al dissolvimento, che è l'epoca che ci troviamo a vivere in questi anni, un tempo caratterizzato da violenze, guerre, esaurimento delle materie prime, capitalismo mortifero, tossicità diffuse. Cosa vuol dire vivere nel dissolvimento? che significato ha e com'è possibile, considerato che, nel bene e nel male, siamo tutte qui?
Penso che il modo migliore per affrontare il dissolvimento sia accettarlo. Il dissolvimento può essere un modo radicale per sperimentare l'interconnessione con esseri umani e non umani che sono danneggiati dal capitalismo e dalla tossicità. Contemplare come la vita degli animali marini con guscio si dissolva negli oceani acidificati fornisce una vivida sensazione che “l'ambiente” non sia mai solo esterno all'organismo, ma permei sempre l'essere vivente. Uno dei problemi centrali sia per la giustizia sociale che per l'ambiente è che il capitalismo, così come i dualismi fondanti la cultura occidentale, promuovono l'individualismo e la separazione. Sperimentare se stessi esposti alle tossine, alle intemperie, al rumore e allo stress dell'oppressione del sistema può essere un invito ad assumere una posizione di vulnerabilità sovversiva, ad abitare la vulnerabilità come protesta politica. In questo momento, negli Stati Uniti, la gente indossa costumi di animali divertenti e carini per protestare contro il regime presidenziale, assumendo una sorta di dolcezza, gentilezza e vulnerabilità per contestare il potere fascista. A Portland, nell'Oregon, hanno organizzato una “corsa nudi in bicicletta per l’emergenza”, il che è esilarante perché nessuno ha *bisogno* di una corsa nudi in bicicletta, eppure, protestare nudi, come discuto in un capitolo di Allo scoperto, è un modo per esporre se stessi e drammatizzare la propria immersione e vulnerabilità al mondo.

Un concetto ricorrente è quello di trans-corporeità, che mi sembra richiamare altri concetti come quelli di simbiogenesi, simpoiesi, inter-essere, carne del mondo o corpo senz'organi. Sottolinei come questo termine stia però a indicare il legame materiale tra gli esseri umani e i corpi, le sostanze e i luoghi. E puntualizzi come l'idea stessa di essere umano sia qualcosa di mai del tutto definito e stabilito in un'ottica postumana. Vorrei quindi chiederti di spiegarci questa connessione tra trans-corporeità e prospettiva postumana e che tipo di pratiche di vita implica o suggerisce.
Il concetto di trans-corporeità mira a cancellare la cornice dell'Umano in quanto tale, concentrandosi sulle reti tra sostanze materiali e forze che ci attraversano e che risiedono dentro ognuno di noi, influenzando i nostri corpi e le nostre menti. Noi agiamo sul mondo e il mondo agisce su di noi, attraverso agenti materiali che fanno parte dei sistemi naturali, post-naturali, economici e politici in cui ci troviamo. Mettere in risalto l'intreccio materiale dell'essere umano, invece di un senso delirante di separazione e trascendenza cerebrale, trasforma l'umano in postumano. Questa modalità di postumanesimo rifiuta l'eccezionalità umana, così come rifiuta le gerarchie mente/corpo, umano/animale, soggetto/oggetto. Inoltre, la trans-corporeità è postumana nel senso che si estende a tutti gli esseri viventi. Nell'Antropocene tutte le creature viventi dimorano al crocevia tra corpo e luogo; tutte le creature sono trans-corporee. Il luogo non è uno sfondo passivo, ma è essenziale per cibo, acqua, riparo e altro ancora. Proprio come gli esseri umani potrebbero non essere in grado di valutare le tossine che i prodotti di consumo, la plastica, il cibo e l'acqua immettono nei loro corpi, anche gli animali non sono in grado di sapere se il cibo o l'acqua che trovano sono sicuri.
L'inquinamento luminoso, l'inquinamento acustico, la distruzione degli habitat, il cambiamento climatico e l'uso diffuso di plastica e altre sostanze chimiche influenzano i corpi, le menti e le culture degli animali non-umani, sottoponendoli a sofferenza ed estinzione. Per me, la trans-corporeità e il postumanesimo vanno mano nella mano, o meglio, zampa nella zampa.
Una parte importante del tuo lavoro di ricerca ha a che fare con l'agentività del mare, con le profondità marine e la vita nell'abisso. Contrariamente a quanto può pensare il senso comune, quello che succede là sotto ci riguarda da vicino, e anzi, potremmo dire che il nostro corpo arriva fin là - e anche i nostri rifiuti - con effetti non sempre virtuosi. Cosa ci lega a quegli ambienti oggi, nell'epoca del dissolvimento e perché è così importante osservare quelle profondità e comprenderle?
Gli ecosistemi e gli habitat oceanici sono interconnessi, quindi ciò che accade nelle profondità influisce sull'oceano in modo molto più ampio. Gli scienziati sottolineano che oltre la metà dell'ossigeno che respiriamo proviene dall'oceano, quindi se le ecologie oceaniche collassassero, sarebbe catastrofico. Penso che due cose molto diverse colleghino le popolazioni industrializzate alle profondità marine. La prima è, come dici tu, che i rifiuti, compresi quelli plastici, chimici e radioattivi, affondano sul fondo dei mari, causando danni per centinaia di anni. Inoltre, l'anidride carbonica prodotta dai combustibili fossili non solo sta riscaldando l'oceano, ma sta anche modificando la sua alcalinità, il che si prevede causerà danni diffusi a molte specie marine ed ecosistemi. Infine, la pesca e l'estrazione mineraria su scala industriale, in particolare l'estrazione mineraria in acque profonde, che potrebbe iniziare molto presto, stanno danneggiando gravemente la vita marina e continueranno a farlo. Quindi le popolazioni industrializzate che hanno tratto profitto dalla lunga storia del colonialismo e del capitalismo hanno la responsabilità di opporsi alla distruzione degli oceani, soprattutto perché molte popolazioni indigene e altri gruppi vulnerabili dipendono dall'oceano per la loro sopravvivenza. Ma è facile non preoccuparsi degli ecosistemi e delle creature che popolano le immense distese e profondità dell'oceano. Ci sembrano troppo vasti e lontani. Il mio nuovo libro, The Abyss Stares Back: Encounters with Deep Sea Life, solleva la questione di cosa potrebbe spingere le persone a interessarsi alle creature che vivono nei fondali marini. Penso che uno degli stimoli più seducenti e potenti per estendere la preoccupazione ambientale ai fondali marini siano le foto e i video altamente estetici della vita nelle profondità marine, che sono straordinariamente belli e meravigliosamente strani. Essi suscitano una curiosità e un piacere, persino un attaccamento, che possono motivare l'interesse per la vita degli abissi.

Sempre in Allo scoperto, dedichi alcune pagine della conclusione a una critica corrosiva della Sostenibilità, mettendone in luce i limiti, le incongruenze e le collusioni. Da quando hai scritto quelle pagine sono trascorsi diversi anni, oggi il tuo giudizio è cambiato? In particolare vorrei chiederti, come si possono coltivare epistemologie, etiche, politiche ed estetiche postumaniste? Tutto ruota intorno a un cambio di prospettiva: togliere non solo l'essere umano dal centro della scena ma anche ogni altro oggetto predefinito. E al centro dell'osservazione posizionare le relazioni, i rapporti e le connessioni tra esseri, ambienti e cose. È così?
Hmmm. È una domanda interessante. Continuo a credere che i sistemi di gestione della sostenibilità dall'alto verso il basso, che trattano l'ambiente come una “risorsa” inerte che attende passivamente che gli esseri umani ne facciano uso, siano un modello che replica le cause che stanno alla base della distruzione ambientale, ovvero la visione antropocentrica secondo cui la “natura” – o il mondo intero – esiste per servire gli esseri umani. D'altra parte, negli Stati Uniti il movimento per la sostenibilità sembra essere scomparso e si sta facendo ben poco per ridurre le sostanze tossiche, la plastica o il consumo energetico. Penso che le aziende, le istituzioni, le scuole, le città e gli Stati debbano sviluppare sistemi che riducano al minimo il loro impatto ambientale negativo, realizzando al contempo progetti positivi come piantare alberi, creare habitat naturali come giardini o orti ogni volta che è possibile, ad esempio.
Sì, le relazioni e le connessioni tra le persone, la vita non-umana e gli ambienti dovrebbero essere al centro dell'attenzione, motivandoci a riflettere, in ogni ambito della nostra vita, su come le azioni, le pratiche e i modi di essere e di conoscere ordinari influenzano le altre persone e le altre vite non-umane. Con l'accelerazione dell'estinzione delle specie, tutto ciò che facciamo è importante. Penso spesso alle ragioni che spingono Rosi Braidotti a praticare una modalità più postumana di “sostenibilità”, come lei stessa afferma, “per il gusto di farlo e per amore del mondo”. A titolo personale, dirò che sostituire il mio prato con piante autoctone e creare un habitat per insetti e uccelli è stata una pratica bellissima, immensamente gioiosa e che afferma e valorizza la vita. Queste azioni dirette a favore di altri esseri non solo aiutano loro, ma danno anche a chi le compie un potente antidoto alla disperazione. Fare qualcosa di positivo e tangibile rimedia alla rabbia e alla tristezza per tutte le violenze che non siamo noi a controllare. Per coltivare modi di essere post-umani, dobbiamo ribadire il piacere, la bellezza, la gioia e la soddisfazione che derivano dal prendersi cura delle altre creature. Quale cosa favolosa sarebbe, ad esempio, recuperare un'area industriale e trasformarla in un luogo pieno di vita dove persone, alberi, piante, uccelli, insetti e altri esseri possano divertirsi insieme!
Marco Liberatore. Marco Liberatore è un ricercatore indipendente, consulente editoriale e giornalista culturale. Si occupa di cultura digitale, ecologia della rete e tecno-politica. Co-dirige la collana Culture Radicali per l'editore Meltemi e le collane Postuman3 e Selene per Mimesis edizioni. Collabora con il quotidiano Il Manifesto e con diverse testate on-line. Con il gruppo di ricerca Ippolita ha pubblicato Hacking del sé (2024), Etica hacker e anarco-capitalismo (2019), Tecnologie del dominio (2017), Anime elettriche (2016). Per cheFare, di cui è co-fondatore, ha curato il volume Cultura in trasformazione (2015).
